Nella giornata di ieri la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha pubblicato sul proprio sito internet le conclusioni dell’Avvocato Generale (1) in relazione alle domande sollevate dal Consiglio di Stato francese per dirimere la causa (avanzata dal Gruppo Lactalis contro il Ministero dell’Agricoltura francese) relativa al decreto sull’origine del latte e della carne (adottato dal Governo francese nel 2016, previa autorizzazione da parte della Commissione europea).
Contesto
L’obbligo di indicare l’origine degli alimenti nell’etichetta è stato per molti anni un tema controverso e spesso affrontato in maniera ideologica e senza un’accurata valutazione della soluzione ottimale, sia per il consumatore che per le imprese.
Attorno al tema sono sorte, da un lato, correnti di gastronazionalismo, mentre dal lato opposto pratiche di comunicazione ingannevole, quali l’Italian sounding, hanno generato moti di indignazione che hanno talvolta colpito in maniera ingiusta prassi commerciali legittime.
Diversamente le legittime aspettative dei consumatori non sono mai state supportate da campagne informative obiettive ed in grado di far contestualizzare correttamente il valore aggiunto dell’indicazione d’origine e la necessità di una risposta europea.
Va tuttavia premesso come, con il Regolamento UE 1169/2011 il legislatore abbia comunque introdotto interessanti misure che, se applicate alla lettera, determinerebbero una stretta totale all’interno dell’UE su fenomeni di comunicazione ingannevole, a partire dall’Italian sounding.
Tanto l’articolo 7 che l’articolo 26 hanno infatti introdotto l’obbligo di informare adeguatamente il consumatore in relazione all’origine di un alimento e a fornire il paese di origine o il luogo di provenienza ogniqualvolta il consumatore possa desumere, dall’etichetta nel suo insieme, un diverso paese d’origine.
Il Regolamento UE 775/2018, inoltre, ha imposto agli operatori del settore alimentare di informare il consumatore qualora l’origine dell’alimento sia dichiarata e la stessa differisca dall’origine dell’ingrediente primario.
A livello europeo, pertanto, sono stati fatti importanti passi in avanti.
Ciononostante, l’ondata di gastronazionalismo, supportata da politiche populiste, hanno ignorato questi risultati e l’opportunità di un dibattito a livello europeo, privilegiando soluzioni semplici, ancorché non utili a fornire al consumatore piena consapevolezza di quanto arriva nelle proprie tavole.
In questo solco il primo e più grande vulnus ad un’armonizzazione della tematica dell’origine è stato inflitto nel 2016 dal Governo francese che, con la benedizione dell’allora Commissione Juncker, adotto’ il Decreto n° 2016-1137 che impone l’obbligatorietà di indicare l’origine del latte e della carne usata come ingrediente negli alimenti confezionati.
All’ ”esperimento” francese ne seguirono molti altri, tra cui il decreto italiano sull’origine del latte.
Il tutto con buona pace del Mercato Unico e di un approccio unitario.
Non solo questo. I decreti, infatti, vennero notificati quali sperimentazioni e avrebbero dovuto cessare la loro efficacia con l’entrata in applicazione del Regolamento UE 775/2018 nel mese di aprile 2020. La vicenda, purtroppo, ha avuto un esito differente e, allo spirare del termine di sperimentazione, i Governi hanno chiesto ed ottenuto da Bruxelles la proroga dell’efficacia dei decreti nazionali.
La causa
Nel 2016 la società francese Lactalis presentava ricorso, chiedendo al Conseil d’État (Consiglio di Stato francese) l’annullamento del decreto controverso. A sostegno di tale ricorso, Lactalis deduceva, in particolare, due motivi relativi alla violazione, da parte del decreto, degli articoli 26, 38 e 39 del regolamento n. 1169/2011. Il giudice del rinvio, ritenendo necessario chiarire l’interpretazione degli articoli richiamati dalla ricorrente sospendeva la causa e presentava rinvio pregiudiziale chiedendo una pronuncia della Corte di Giustizia, che è l’organo deputato alla corretta interpretazione del diritto dell’UE.
Le domande del Conseil d’Etat
Il Conseil d’État (Consiglio di Stato) sottoponeva alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
1) Se l’articolo 26 del regolamento n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, che stabilisce, in particolare, che la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio relazioni sull’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza per il latte e per il latte usato come ingrediente, debba essere inteso nel senso che esso ha espressamente armonizzato detta materia ai sensi dell’articolo 38, paragrafo 1, del medesimo regolamento e osti al riconoscimento agli Stati membri della facoltà di adottare disposizioni che richiedano ulteriori indicazioni obbligatorie sulla base dell’articolo 39 di detto regolamento.
2) Ove le disposizioni nazionali siano giustificate dalla protezione dei consumatori ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, se i due criteri di cui al paragrafo 2 di detto articolo per quanto riguarda, da una parte, il nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza e, dall’altra, la prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni, debbano essere letti congiuntamente e, in particolare, se il giudizio sul nesso comprovato possa essere fondato su elementi soltanto soggettivi concernenti l’importanza dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può compiere tra le qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza.
3) Se, nella misura in cui sembri che le qualità dell’alimento possano essere intese come riferite a tutti gli elementi che contribuiscono alla qualità dell’alimento, le considerazioni collegate alla capacità dell’alimento di resistere al trasporto e ai rischi di una sua alterazione nel corso del tragitto possano rilevare nel quadro della valutazione dell’esistenza di un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza, ai fini dell’applicazione dell’articolo 39, paragrafo 2.
4) Se la valutazione delle condizioni fissate nell’articolo 39 presuppone di considerare le qualità di un alimento come uniche a causa della sua origine o della sua provenienza o come garantite da detta origine o provenienza e, in quest’ultimo caso, se, malgrado l’armonizzazione delle norme sanitarie e ambientali applicabili in seno all’Unione europea, la menzione dell’origine o della provenienza possa essere più precisa di una menzione sotto forma di “UE” o “extra UE”.
Le risposte dell’Avvocato Generale
L’Avvocato Generale, esaminata la legislazione europea, ha fornito alcuni chiarimenti, invitando la Corte ad assumere una decisione sulla base degli stessi.
In relazione al primo quesito (impossibilità degli Stati membri di emanare norme sull’origine del latte, in quanto materia armonizzata), l’Avvocato Generale ha specificato come l’articolo 26 del regolamento (UE) n. 1169/2011 debba essere interpretato nel senso che esso ha armonizzato le condizioni alle quali l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza del latte utilizzato come prodotto finale o come ingrediente può essere resa obbligatoria dagli Stati membri. Tuttavia, la suddetta disposizione non osta a che essi rendano obbligatoria tale indicazione in forza dell’articolo 39 di detto regolamento qualora ciò sia giustificato da considerazioni quali la protezione della salute pubblica, i diritti dei consumatori, la prevenzione delle frodi o la repressione della concorrenza sleale e qualora siano soddisfatte le condizioni previste da detta disposizione.
Circa la necessaria sussistenza di entrambi i criteri richiesti dall’articolo 39, l’Avvocato Generale ha specificato come, pur trattandosi di criteri distinti, la valutazione del primo criterio relativo all’esistenza di un nesso comprovato non può essere fondata su elementi soggettivi relativi all’importanza dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può stabilire tra le qualità del prodotto alimentare e la sua origine o provenienza, ma esige che i prodotti alimentari di cui trattasi, che provengono da taluni paesi o luoghi di provenienza, possiedano determinate qualità o proprietà oggettive che li differenziano da prodotti identici aventi origine diversa.
In ordine al terzo quesito sulla rilevanza di un eventuale deterioramento ai fini della valutazione della qualità, l’Avvocato Generale spiega come l’articolo 39, paragrafo 2, debba essere interpretato nel senso che considerazioni relative alla resistenza al trasporto del prodotto alimentare e al rischio di deterioramento durante il tragitto possono essere tenute in considerazione in sede di esame del nesso comprovato tra talune qualità di detto prodotto e la sua origine o provenienza ai fini dell’applicazione dell’articolo 39, paragrafo 2, se, in primo luogo, è accertato che il latte può deteriorarsi durante il trasporto; in secondo luogo, se tale alterazione è tale da incidere su determinate qualità del latte alle quali la maggior parte dei consumatori attribuisce importanza; in terzo luogo, se tale requisito è di più semplice attuazione rispetto ad altri parametri, più direttamente legati alla distanza percorsa o alla durata del trasporto del latte e, in quarto luogo, se l’obiettivo di informare i consumatori circa i rischi per le qualità dei prodotti alimentari associati al loro trasporto è perseguito dalla disposizione nazionale in modo coerente e sistematico.
Infine, in relazione al quarto quesito, la risposta dell’Avvocato Generale specifica che l’articolo 39 richiede soltanto che le qualità dei prodotti alimentari provenienti da un determinato gruppo di paesi o regioni geografiche possano essere specifiche in ragione della loro origine senza essere necessariamente garantite in ragione di tale origine, facendo altresi’ presente come “La suddetta disposizione non osta necessariamente a che uno Stato membro imponga un’indicazione obbligatoria supplementare relativa al luogo di produzione che sia più precisa della semplice indicazione «UE/extra-UE», nonostante l’armonizzazione delle norme sanitarie e ambientali applicabili all’interno dell’Unione europea”.
La Corte di Giustizia, sulla base di quanto espresso dall’Avvocato Generale, emetterà la propria pronuncia nel mese di ottobre 2020.
La portata del verdetto della Corte avrà importanti conseguenze, tanto nel dibattito relativo all’armonizzazione delle disposizioni dell'UE, quanto alla stessa legittimità dei decreti nazionali.
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