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Immagine del redattoreAlliance Food Consultants

Uova “senza Fipronil”, lecito indicarlo in pubblicità?



In ragione della crisi delle uova contaminate con fipronil, insetticida moderatamente tossico per l’uomo - crisi partita da Olanda e Belgio, ma ben presto con ricadute globali ed effetti diretti anche per i produttori di uova italiani- sono state adottate, a partire dallo scorso agosto, misure a livello nazionale, sebbene coordinate con le autorità europee.

Nello specifico le misure includono una valutazione del rischio preliminare nonché piani di controllo straordinario, come ben comunicato peraltro sul sito del Ministero della Salute cui si rimanda. In un secondo momento le autorità nazionali hanno anche consentito piani volontari in autocontrollo per garantire alle imprese una migliore commerciabilità del proprio prodotto. Il tutto senza interruzione di fornitura rispetto agli acquirenti a valle, sempre più preoccupati circa effettivi requisiti di salubrità e assenza dei residui.

Tale piano volontario di autocontrollo ha visto un Protocollo d'intesa (su fipronil e atraz, quest’ultimo altro insetticida non consentito per pollame da carne) tra diversi rappresentati dei settori produttivi, con misure campionarie e modalità di analisi precise.

Al netto di aspetti più strettamente tecnici e connessi alle soglie di contaminazione, occorre considerare la liceità di alcune comunicazioni commerciali (tanto ai consumatori che B2B) che hanno preso piede sul suolo nazionale negli ultimi mesi.

“Allevamento/distributore soggetto a piano di autocontrollo rafforzato sul fipronil –amitraz”

Tale indicazione appare veritiera e lecita. Alcuni soggetti in realtà hanno provveduto a trasformare tale requisito in un vantaggio competitivo, aggiungendo una comunicazione rivolta ai consumatori o acquirenti di filiera.

“Senza Fipronil” oppure “Fipronil free -“

Sebbene vista in occasione di alcune pubblicità via TV, tale modalità comunicativa non sembra perfettamente lecita in quanto in contrasto con un principio giuridico inveterato sia di comunicazione corretta e leale (art. 7 del reg. 1169/2011) che più in genere di presupposti di pubblicità comparativa (ancorché implicita) ingannevole, in quanto tesa a suggerire che ….erroneamente…. gli altri prodott icontengano fipronil. Sin dalla Direttiva 79/112 anche solo il suggerimento di una presunta diversità in termini migliorativi rispetto a requisiti minimi di legge (ovvero l’assenza di sostanze vietate come il fipronil) configura un vero e proprio contesto ingannevole. Il senso di quanto qui scritto è allora riassumibile come segue: se un prodotto contiene residui non ammessi o ammessi ma in quantità maggiori di determinati limiti, non può in alcun modo essere posto sul mercato. Viceversa, l’assenza in quanto tale di residui e/o contaminanti che non devono esser presenti, non potrà essere vantata, anche se veritiera.

In tal senso l’art. 7 del Regolamento UE 1169/2011 prevede che le informazioni sugli alimenti non inducono in errore, in particolare c) suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche, in particolare evidenziando in modo esplicito la presenza o l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive.

Se pure vero che il fipronil in senso stretto non configura né ingrediente né sostanza nutritiva, la presenza o assenza di fipronil-atraz non è qualcosa che possa essere liberamente scelto dagli operatori, ma uno stringente requisito di legge (l’assenza)- insomma, un requisito base di ogni ovoprodotto.

Riflessioni: sicurezza reale e presunta nelle food scares

Va in ogni caso detto che durante crisi alimentari così onnipervasive, non è scontata né ovvia la presenza di prodotti “sicuri” come standard minimo di default su cui non dovrebbe essere fatta pubblicità.

Va detto che i consumatori si sono trovati realmente in difficoltà, incerti se acquistare o meno uova che non sapevano se presumere sicure in quanto poste in vendita, e in caso di dubbi, rifuggendo l’acquisto in modo più o meno razionale.

In tal senso, la norma che prevede la non confrontabilità di prodotti “che possiedono (o meglio, dovrebbero possedere) le stesse caratteristiche” perde un valore orientativo assoluto, almeno per i consumatori, anche in nome di un bene di ordine superiore rispetto alla corretta comunicazione e pubblicità comparativa, ossia la salute.

Un’informazione pubblicitaria di questo tipo (“Fipronil Free”) diverrebbe allora realmente informativa, oltre che intrinsecamente veritiera e in grado di determinare le scelte dei consumatori.

La riflessione verte pertanto, seppure inevitabilmente, sul sistema dei controlli come realmente in grado di garantire uguali condizioni di accesso al mercato per prodotti ugualmente sicuri. Quando questo non avviene, ad esempio proprio in occasione dello scoppio di crisi alimentari improvvise e diffuse, il rischio per imprese “sane” è quello di non aver idonei strumenti per poter dimostrare la sicurezza delle proprie produzioni.

A tale aspetto andrebbe, sicuramente, posto rimedio.

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