Dopo Amazon Prime e Alibaba, il web si attrezza per il FOOD a domicilio.
Se il cibo impiattato sta diventando oggetto del desiderio virtuale, con una parte propriamente culturale ben codificata da new e old media tramite chef, scuole di cucina e celebrities che si dilettano ai fornelli- la rete sembra essersene accorta non solo in termini mediatici, ma anche commerciali e riferiti alle derrate vere e proprie.
Dopo le manovre di alcuni grandi soggetti (è di qualche mese l’accordo di Whole Foods con Amazon Prime –mentre Alibaba ha già siglato accordi con l’ICQRF per la tutela contro le frodi su prodotti Dop e Ipg), è la volta di Facebook.
La società di Zuckerberg ha avviato, prima e per il momento solo negli USA, un marketplace in cui sia possibile fare ordinativi di cibo e piatti pronti da parte dei consumatori. La piattaforma di facebook si chiama “order food”, e promette se non una rivoluzione silenziosa, certo un altro bel colpo.
La piattaforma prevede un tasto che rappresenta un hamburger nel menu di Facebook, che procede poi ad un re-indirizzamento verso locali e siti in cui sia possibile procedere con acquisti presso ristoranti e take away.
Ma Facebook ha dovuto stringere alleanze con marchi già presenti nel business, tra cui piattaforme di consegna a domicilio (Delivery.com, DoorDash, ChowNow, Zuppler, EatStreet, Slice, e Olo) che ristoranti (Papa John' s, Wingstop, Panera, Jack in the Box, TGI Venerdì, Denny' s, El Pollo Loco, Chipotle, Five Guys e Jj). La piattaforma è stata ovviamente pensata con tool relativi alla localizzazione e spazi dedicati alle recensioni dei vari ristoranti. Per il momento funziona esclusivamente negli Stati Uniti ed è stata rilasciata con l'aggiornamento di Facebook disponibile per iOS e Android (oltre che sulla versione desktop).
Funzionerà in Old Europe?
Una domanda chiave sarà relativa alla facilità di adozione di tale logica in Europa, dove il web serve (vedasi Tripadvisor) ma per il “post-vendita” o meglio, per le recensioni successivamente al consumo nei ristoranti e comunque fuori casa. Il canale fiduciario in Italia ed Europa sembra insomma diverso, e non sviluppato come negli USA dove è normale e prassi- in ragione anche di una funzione “pratica” e meno conviviale del cibo- farsi imbustare e spedire piatti pronti.
Un altro problema per i controllori o convenzioni?
Qualora si volesse ragionare in modo virtuale, come mero esercizio di stile, se tale rivoluzione dovesse arrivare anche da noi-quali normative andrebbero considerate? Di quali strumenti dovrebbero dotarsi i produttori, ristoratori e caterer per questa nuova forma di fruizione del cibo?
Segnaliamo solo 4 aspetti “killer” che ci sembrano centrali per un decollo dell’iniziativa o perlomeno per un suo corretto inquadramento giuridico intanto e poi anche commerciale.
1. chiusura del contratto virtuale con tutte le informazioni necessarie
In base alla normativa europea, già invalsa, tutte le forme di vendita a distanza devono prevedere la fornitura di informazioni, perlomeno quelle obbligatorie, prima che si chiuda la vendita stessa. Del resto, Facebook e in particolare “Order Food” rientrano a tutti gli effetti in quella che viene definita dalla normativa europea come «tecnica di comunicazione a distanza»: qualunque mezzo che, senza la presenza fisica e simultanea del fornitore e del consumatore, possa impiegarsi per la conclusione del contratto tra dette parti>>. In base poi all’ Articolo 14 del reg. (UE) 1169 del 2011, in caso di alimenti preimballati venduti a distanza, vanno rese disponibili le informazioni obbligatorie sugli alimenti - ad eccezione di quelle riferite alla deperibilità (data di scadenza o Termine Minimo di Conservazione, TMC) - prima della conclusione dell’acquisto e appaiono sul supporto della vendita a distanza o sono fornite mediante qualunque altro mezzo adeguato chiaramente individuato dall’operatore del settore alimentare.
E’ poi importante rilevare che le informazioni obbligatorie (ma non anche quelle volontarie) sono fornite senza che l’operatore del settore alimentare imponga costi supplementari ai consumatori.
In ogni caso, tutte le indicazioni obbligatorie sono disponibili al momento della consegna, ad esempio tramite etichettatura, flyer o altro.
Questo, per quanto riguarda i prodotti preimballati, oppure, ad esempio, termosaldati, sottovuoto, o altrimenti confezionati sul posto di vendita e nelle attinenze (es. laboratorio di cucina).
Nel caso di alimenti invece non preconfezionati l’unica indicazione obbligatoria disciplinata a livello comunitario riguarda la presenza di allergeni o sostanze aventi effetto tale – come indicati negli allegati del regolamento “Informazione Alimentare ai Consumatori”, e fatte salve altre indicazioni che gli Stati membri vorranno ritenere obbligatorie anche per gli alimenti venduti sfusi o preincartati. E’ in ogni caso buona norma per tali alimenti preincartati fornire – a maggior ragione in quanto non disponibili al momento della consegna- tutte le informazioni che un consumatore ragionevolmente può attendersi dalla normativa obbligatoria (e quindi le varie indicazioni contenute agli articoli 9 e 10 del regolamento 1169).
Una ultima importante nota: nella comunicazione commerciale via web si tende a confondere una forma di pubblicità e promozione dei prodotti di tipo “poetico” con requisiti di tipo qualitativo che invece devono essere considerati a tutti gli effetti come soggetti alle ferree regole della “Informazione alimentare ai Consumatori”: attenzione a non celebrare o decantare eccessivamente prodotti che in realtà non hanno certificazioni particolari o anche solo caratteri davvero distintivi.
2. Massima attenzione agli allergeni
Un secondo aspetto chiave è ovviamente relativo alla fornitura di informazioni su allergeni o sostanze che provochino intolleranze. Sebbene già la normativa prevede che siano chiaramente indicati anche nei semplici prodotti pre-incartati, è un aspetto che merita una menzione a parte, anche per l’assenza di comunicazione diretta tra ristoratore e cliente, che può favorire opacità e asimmetrie informative. La cautela deve essere massima non solo per ragioni sanitarie, certo preponderanti, ma anche per eventuali feedback in rete che possono determinare una perdita rovinosa di credibilità e fiducia da parte di clienti. La presenza di un allergen control plan diventa fondamentale insieme a prassi di comunicazione cautelative.
3 . Le immagini sono comunicazione
Informazioni derivabili anche per immagini rappresentative del prodotto vanno adeguatamente giustificate e rientrano a tutti gli effetti nella informazione al consumatore. In caso di probabile discrepanza tra immagini e cibo realmente offerto, sebbene sia invalsa la prassi di utilizzare il disclaimer “il prodotto raffigurato potrebbe non corrispondere a quello effettivamente contenuto”, si sottolinea la delicatezza di tale aspetto, per non andare in contrasto con la normativa specifica sulle prassi leali di informazione al consumatore e potrebbe prossimamente –nel regno delle “immagini”- vedere una revisione in senso restrittivo. Ugualmente simboli, loghi e altre forme di comunicazione devono trovare il giusto equilibrio tra legittime esigenze di marketing e correttezza dell’informazione.
4. Criticità su consegna insoddisfacente e reputazione aziendale
Un ultimo consiglio relativo all’arena informativa del tutto peculiare che si viene a configurare tra cliente in remoto e ristoratore: facilmente si potranno avere respingimenti, prodotti considerati non conformi a quanto pattuito, e in ultimo, feedback negativi. Occorre certamente avere un occhio di particolare riguardo su questo aspetto, data la natura meramente economica e commerciale del servizio, per fidelizzare o meglio ancora deliziare i clienti. Coupon omaggio, e forme proiettate nello stabilire una relazione continuativa, insieme a una idonea comunicazione di scuse –potranno presto diventare parte a tutti gli effetti di strumenti importanti che vanno a configurare servizi accessori a tutela della propria onorabilità aziendale.