Si sa: i controlli in capo alle autorità nazionali, la legge in capo a quelle europee. E come in ambito fiscale, la mancanza di una vera armonizzazione sta creando più di un grattacapo alle nostre imprese. Un esempio classico deriva da una serie di casi recentemente al centro del dibattito, anche per l’interessamento di alcune testate giornalistiche specializzate-relativo all'uso da parte di player agroalimentari di claim come “meno 30% di grassi “, “meno 55% di grassi saturi” e simili (con asterisco, laddove poi legge “rispetto alla ricetta precedente, o simili).
Secondo la versione data, tali messaggi comparativi sarebbero erronei in quanto riferiti a termine di confronto alla “ricetta precedente”, e non alla media dei prodotti più venduti per la categoria di riferimento.
Cosa dice l’AGCM?
Ma potrebbe ben essere che tale scelta non sia stata decisa per puro e semplice errore da parte dei produttori. Vediamo perché.
Va intanto segnalato che l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM)- meglio nota come Antitrust, negli anni precedenti -2015 in particolare-ma secondo lunga e inveterata tradizione- ha sempre posto una particolare attenzione alla pubblicità comparativa chiedendo in particolare di raggiungere con dimensioni del carattere della legenda e posizionamento della stessa- una chiarezza espositiva tale da non fuorviare o ingannare il consumatore. In diversi casi di scuola, ha proprio chiesto alle aziende di modificare le dimensioni della legenda, ravvicinandola al claim e rendendo ben evidente che si trattava di un unico messaggio suddiviso
In secondo luogo, l’orientamento dell’Antitrust sembra essere quello di ammettere e consigliare anzi il confronto di un claim a partire dalla ricetta precedente della stessa azienda, confrontando insomma un bene che è immediatamente confrontabile con lo stesso.
In tal senso le pronunce PS9524, PS9082, PS9525, PS9526.
Nella relazione e in merito alle pronunce di cui sopra, l’antitrust suggerisce come “In particolare, le indicazioni sui grassi (ad es. “- 20% dei grassi”) prospettavano enfaticamente una riduzione percentuale di tale nutriente che sortiva effetti confusori circa l’effettiva portata nutrizionale del prodotto a causa della non corretta veicolazione del termine di raffronto: è stata, infatti, rilevata l’assenza o comunque la scarsa evidenza grafica del termine di raffronto (che può essere sia la versione “tradizionale” del prodotto sia un prodotto congenere commercializzato da altri professionisti) che il professionista deve prendere in considerazione per rendere trasparente e completa l’informazione per il consumatore”.
Orbene l’AGCM ammette quindi due possibilità: sia la possibilità di un raffronto su ricetta precedente che rispetto alla media dei prodotti più venduti.
Diversi sono gli aspetti normativi di cui tenere conto. Se il Reg. 1924/2006 sembra piuttosto chiaro nel raffronto tra prodotti della stessa tipologia merceologica, non così altri atti di pari grado normativo a livello di pubblicità ingannevole e comparativa, laddove il confronto, per essere realmente informativo, dovrebbe essere su un prodotto chiaramente identificato: e cosa di meglio quindi della ricetta precedente?
Negli ultimi mesi, alcune grandi aziende per evitare un forte battage mediatico hanno adottato la “regola” del confronto sulla media dei prodotti più venduti. Che sebbene sia un criterio valido, potrebbe… non essere l’unico con crismi di legalità. Una riflessione con la dovuta tranquillità allora sembra opportuna, in un periodo in cui la comunicazione la fa da padrona generando consensi pratici sul campo che se fondati, potrebbero non essere assoluti.
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